La transazione fiscale è un nuovo istituto attraverso il quale, ai debitori che si trovano in uno stato di dissesto, è data la possibilità di uscire dalla crisi, parzialmente falcidiando e/o quantomeno dilazionando il debito fiscale, così garantendo sia la conservazione dell’organizzazione produttiva con i relativi posti di lavoro e sia la migliore soddisfazione degli enti creditori. Nel corso del tempo oggetto di numerose modifiche, l’istituto in commento ha trovato definitivamente forma e dunque espressa previsione grazie all’art 3 D.L 125/2020 con il quale sono stati emendati gli artt. 180, 182-bis e ter della Legge Fallimentare.
In particolare, l’art. 182-ter L.F attualmente in vigore prevede che il contribuente, in sede di presentazione di ricorso per concordato preventivo ovvero in sede di accordi per la ristrutturazione dei debiti, possa proporre “il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, se il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione”: se il credito è assistito da privilegio, il trattamento deve essere lo stesso rispetto a quello garantito a creditori aventi medesimo o inferiore privilegio, mentre quanto eventualmente non soddisfatto, degrada a credito chirografo; allo stesso modo, per quanto riguarda i crediti chirografi, il trattamento deve essere lo stesso rispetto a quello previsto per gli altri creditori non assistiti dal diritto di prelazione, ovvero, in caso di divisione in classi, rispetto ai creditori per i quali è previsto il trattamento più favorevole.
L’attestazione del professionista, terzo ed indipendente, assume rilevante importanza dal momento che questi è chiamato non solo ad attestare la convenienza della transazione proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, bensì anche a verificare la veridicità e la realizzabilità di quanto, in detta sede, proposto dal contribuente: in particolare, ex art 182-ter, co 5 L.F. la suddetta attestazione “costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale”. A questo punto, l’Ufficio è tenuto ad esercitare, quindi, previo parere della competente direzione regionale, il diritto di voto di cui è titolare in sede di adunanza dei creditori, in caso di concordato preventivo ovvero, a prestare adesione alla proposta formulata dal contribuente, in sede di accordo di ristrutturazione con sottoscrizione del relativo atto negoziale.
Nell’ambito oggettivo di applicazione della transazione fiscale sono ricompresi: l’IRES, l’IVA, l’IRPEF (compresi anche gli importi derivanti dal mancato versamento delle ritenute), le imposte doganali ed accise, l’IRAP, le imposte indirette, quali l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, l’imposta ipotecaria e catastale e le imposte ad esse sostitutive, nonché l’imposta sugli intrattenimenti, l’imposta di bollo e le concessioni di uso demaniali, gli accessori intesi sia in senso proprio che come sanzioni amministrative per violazioni tributarie mentre, per quanto riguarda i crediti contributivi, devono intendersi “enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie” gli enti pubblici, quelli di previdenza obbligatoria privatizzati nonché quelli costituiti per i liberi professionisti.
Ebbene, l’art. 3, co. 1-bis, del D.L. n. 125/2020, novellando gli artt. 180, co 4 e 182-bis co 4 L.F., ha statuito che anche in “mancanza di voto” ovvero in “mancanza di adesione” dell’Amministrazione finanziaria, ovvero degli enti previdenziali, alla proposta di transazione fiscale, il Tribunale ha comunque la possibilità di procedere all’omologa del concordato preventivo (o dell’accordo di ristrutturazione) a condizione che il voto ovvero l’adesione risultino decisivi ai fini, per il concordato preventivo della maggioranza dei creditori ammessi al voto ovvero, per l’accordo di ristrutturazione, del 60% dei creditori e che la proposta deve risultare conveniente per l’Amministrazione finanziaria, ovvero per gli enti gestori di forme di previdenza, rispetto all’alternativa liquidatoria anche alla luce di quanto espressamente contenuto nella relazione dell’attestatore.
Di fronte ad una novità di tale portata L’Agenzia delle Entrate non è certamente rimasta silente: infatti con la circolare n. 34/E/2020 si è dapprima soffermata sul ruolo centrale che viene riconosciuto al professionista attestatore dovendo questi, per tale ragione possedere, oltre alle necessarie competenze professionali, anche comprovata indipendenza rispetto al debitore la cui proposta è chiamato ad analizzare, risultando imprescindibile l’assenza di rapporti di natura personale, tra cui vengono espressamente annoverati “la sussistenza di rapporti professionali abituali con il consulente dell’imprenditore che ha predisposto il piano”, di rapporti di natura professionali, di elementi contrattuali che possano inficiare il giudizio del professionista, come eventuali clausole che subordinino il corrispettivo (o parte di esso) al giudizio positivo sulla fattibilità del piano o all’eventuale omologa da parte del Tribunale; passando poi alla relazione dell’attestatore, questa dovrà contenere l’indicazione del maggiore apporto patrimoniale eventualmente derivante dalla continuazione dell’attività aziendale, dando atto dei flussi e degli investimenti che potrebbero derivare dalla continuazione aziendale e dell’esito dell’eventuale attività liquidatoria gestita in sede concorsuale. L’Ufficio potrà negare la propria adesione alla proposta con un provvedimento corredato da una puntuale motivazione, “idonea a confutare analiticamente, in base ad elementi chiari, oggettivi e verificabili, le argomentazioni e le conclusioni” ivi raggiunte: pur comunque sempre garantendo il contraddittorio con il contribuente, invero l’Ufficio potrebbe opporre il suddetto diniego solo nel caso in cui le argomentazioni e le conclusioni così come raggiunte siano ritenute manifestamente non attendibili o non sostenibili, anche attraverso l’analisi del contesto economico in cui si trova il contribuente. Da ultimo, nel giudizio di attendibilità della proposta, i precedenti fiscali imputabili al contribuente non dovrebbero assumere rilevanza, potendo altresì essere presi in considerazione esclusivamente eventuali comportamenti pregressi di natura distrattiva o fraudolenta che, in casi di particolare gravità, sarebbero già di per sé soli idonei a legittimare la negazione dell’attendibilità della proposta a prescindere dalla sua convenienza rispetto all’ipotesi liquidatoria.
E’ pur vero che l’Amministrazione finanziaria esclude qualsiasi automatismo valutativo dal momento che ogni singola proposta di dilazione deve essere sempre concretamente attenzionata non potendo, al contrario, essere ritenuta aprioristicamente accettabile o inaccettabile con la conseguenza che non esiste una percentuale prefissata al di sotto della quale (o al di sopra) la proposta debba ritenersi meritevole o meno di adesione, “purché la proposta di soddisfacimento non sia inferiore a quella realizzabile; inoltre è possibile che negli accordi di ristrutturazione siano previste clausole che estendano gli effetti remissori a favore di coobbligati; ed è anche possibile derogare al principio del trattamento non deteriore per l’Erario a favore di creditori a valenza strategica in funzione dell’imprescindibilità del loro apporto ai fini della continuità aziendale.
L’eventuale silenzio diniego o il rifiuto illegittimo della proposta di transazione fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate, è impugnabile innanzi al giudice ordinario, la cui giurisdizione è stata definitivamente acclarata da una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, pur permanendo in capo al giudice tributario la relativa giurisdizione in presenza di crediti tributari contestati.
Nicola Lonoce ed Eleonora Zizzo